Il Parlamento Europeo, riunito in plenaria a Strasburgo, ha approvato la riforma del copyright
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Tema principale della riforma, avendo sotto mano gli articoli 11 e 13 (che ora sono diventati 15 e 17), è la tutela del diritto d’autore nell’era del digitale, garantendo agli autori il compenso adeguato per i loro contenuti.
Adesso si fanno i resoconti su cosa effettivamente comporti la riforma, in cosa consista e quali cambiamenti porterà.
Chi è a favore e chi è contro
Chi è a favore e perché
Tra i principali sostenitori della riforma le associazioni di categoria come le case discografiche ed editoriali (la Fimi, federazione delle major discografiche, e la Fieg, federazione italiana editori giornali, che hanno dato via a campagne per sostenerla), speranzose di poter far fronte ai colossi del web accusati di monetizzazione del lavoro altrui.
Chi è contro e perché
Nella schiera dei contrari si stagliano i giganti del tech, preoccupati delle licenze e dei costi annessi che questa riforma porta. Di tutt’altro spirito è il forte “no” dei liberali che fanno notare la grave difficoltà di diffusione e di libertà di espressione che verrà a crearsi. Wikipedia aveva infatti oscurato la pagina italiana per protesta, e il portavoce Maurizio Codogno ha affermato:
“si vorrebbe creare un mercato unico per il copyright , in realtà, per come sono formulati gli articoli 11 e 13 si ottiene un guazzabuglio che ha poche possibilità di funzionare”.
Sebbene le proteste, la mobilitazione di Wikipedia si è poi rivelata superflua dato che la piattaforma non ha ripercussioni dalla riforma. Quest’ultima riguarda solo piattaforme con scopi di lucro.
Su Change.org si sono registrate milioni di firme per la petizione contro la riforma.
In cosa consiste la riforma del copyright
I punti principali della riforma del copyright
Secondo l‘articolo 11, si verrà a creare un nuovo diritto per gli autori secondo cui potranno limitare o bloccare la condivisione dei loro contenuti su altri siti, dovranno inoltre autorizzare ufficialmente la condivisione dei loro contenuti, e questa riproduzione sarà soggetta ad una particolare licenza a meno che non si tratti di “singole parole o estratti brevi”.
L‘articolo 13 specifica che tutte le piattaforme online devono quindi ottenere (pagando, naturalmente) le licenze per la condivisione di contenuti prodotti da terzi, inoltre i siti dovranno fare attenzione che nessun contenuto nei loro server violi il diritto d’autore.
La riforma vuole creare un giusto diritto d’autore che permetta di venire pagati per la condivisione dei propri contenuti e costringe i colossi del web e le piccole agenzie ad acquisire le licenze adeguate per condividere tali contenuti, ma quali sono i pro e quali sono i contro? Chi ci rimetterà e chi ci guadagnerà?
Le conseguenze della riforma del copyright
Proteggere il diritto d’autore è senza dubbio una giusta causa e già da anni il Parlamento Europeo parlava di una riforma del copyright per ovviare al problema dell’era digitale in cui i contenuti di un singolo autore sono come gocce in un oceano, spesso prive di tutela.
Ma con questa riforma, chi sarà a trarne vantaggio e chi invece penalizzerà?
“Di per sé l’articolo 11 probabilmente è inefficace, perché esistono già due leggi in Spagna e in Germania molto simili alla Direttiva nelle intenzioni”, spiega Giovanni Maria Ricci, docente di Diritto d’autore presso l’Università di Salerno, “quello che però è successo in Spagna è che Google News ha chiuso e che oggi l’aggregazione delle notizie avviene attraverso fornitori di notizie che sono fuori dalla Spagna. Per esempio, se prima un articolo veniva ripreso da El Paìs o da altri quotidiani spagnoli, ora le news arrivano ma da organi di informazione terzi. Quindi, anche su questo, non credo che la qualità dell’informazione ne abbia beneficiato: è una norma che rischia di essere a vantaggio zero per gli editori.”
I diritti d’autore tutelati, quindi, ma non del tutto. Va anche sottolineato che l’articolo si riferisce a “estratti brevi”, senza specificare dei confini. Perciò la citazione rimane fuori dalla legge.
“Per quanto riguarda l’articolo 13, il discorso è molto complesso” continua il professore Giovanni Maria Ricci, “c’è un problema di ordine concorrenziale: l’ultimo testo della direttiva è stato modificato e ora prevede che tutti i requisiti che si applicano a YouTube, in termini di controllo sulle informazioni, per esempio, non si applicano alle startup che abbiano un fatturato inferiore a 10 milioni e non esistano da più di tre anni. In un mercato che non è più quello dove YouTube è nato ma è già ampiamente dominante, sembra difficile immaginare che le startup siano in grado, in soli tre anni, di conquistare delle posizioni tali da permettersi i sistemi di filtraggio e gli interventi tecnici che la direttiva copre.”
Se quindi all’inizio potrebbe sembrare che la riforma del copyright sia una direttiva che penalizza i giganti del web in realtà li avvantaggia mettendo in difficoltà le piccole imprese, la concorrenza, e anche nuovi concorrenti che di certo non oserebbero entrare in un mercato che li farebbe incorrere in certe problematiche e in questi costi onerosi.
A conti fatti, sembra che la riforma abbia lati positivi ma tanti altri da rivedere e che, sicuramente, lasciano l’amaro in bocca a molti.
Per un approfondimento, ecco il link con il testo completo e originale della riforma sul copyright approvata il 26 marzo 2019 (clicca qui).
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